Intervista ad Alessandro Ferrari, Direttore

Intervista ad Alessandro Ferrari, Direttore

Vita e Professione da Direttore d'orchestra e compositore.
Alessandro Ferrari
Domingo, 27 Junio 2021

Conosco Alessandro da molti anni. Abbiamo fatto il servizio militare insieme e, per chi conosce la storia della "leva" italiana non sarà difficile fare un breve calcolo e stimare quanti anni siano passati.

Per un paio di decenni non ci siamo sentiti, presi ambedue dalle nostre vite e carriere. Poi un giorno Alessandro mi chiama. Ed é stato davvero un piacere sentire che non aveva perso nulla di quell'entusiasmo e di quella vitalità che aveva a vent'anni. Nel frattempo la sua carriera di Direttore d'orchestra e compositore si é evoluta considerevolmente portandolo davanti alle orchestre di mezzo mondo. Non solo l'orchestra del Teatro alla Scala e della Filarmonica della Scala dove é di casa ma anche Il Bolshoi, Tokyo, Rio de Janeiro, Caracas, New York, Londra.

Ha concesso una intervista a Opera Piccola Italiana, di cui é anche Direttore Artistico.

Ciao Alessandro, il mondo musicale ti riconosce un carattere "sociale" cioè capace di relazionarsi in modo sempre corretto e composto verso tutti, colleghi e artisti. Eppure tra i grandi Direttori d'orchestra del '900 ci sono stati degli autentici "generali", capaci di incutere timore agli orchestrali. Supponiamo che tu richieda ad un primo oboe di eseguire un passo in un certo modo, ma invece l'oboista insista ad eseguirlo come vuole. Chi la spunta in questo caso?

Penso nessuno dei due. Credo che la cosa migliore sia accettare la musicalità dell’esecutore e al tempo stesso l’esecutore deve accettare l’interpretazione del direttore. Se l’esecutore ha determinate caratteristiche espressive, sarà cura del direttore seguirle e portarle sulla propria direzione interpretativa.

Immaginiamo ora che non si tratti del primo oboe ma della Spalla dei primi violini,  e che le ragioni difese dalla Spalla siano "abbiamo sempre fatto così", come si metterebbe la faccenda?

Al giorno d’oggi, e fortunatamente, credo ci sia più elasticità di adattamento nelle orchestre, anche per sperimentare nuove interpretazioni. La tradizione è importante e non credo che essa possa essere il ricordo dell’ultima brutta esecuzione; penso sia importante seguire un percorso più attuale e moderno. Tuttavia non si deve stravolgere completamente un’opera, occorre sempre pensare il periodo nel quale è stata composta.

Quanto deve conoscere della tecnica di tutti gli strumenti un direttore d’orchestra?

Più ne sa, meglio è, sicuramente. Ma un conto è saperne e un conto è intervenire. Ad esempio: se il direttore d’orchestra è un violinista e conosce bene le caratteristiche dell’arco, può permettersi sicuramente di intervenire sulle arcate, ma l’ultima parola spetta sempre alla spalla ossia il primo violino. Se il direttore è o è stato percussionista, può sempre consigliare che tipo di bacchette usare per il timpano, ma è sempre consigliabile richiedere l’espressione dinamica che vogliamo, la scelta delle bacchette spetta sempre in ultimo all’esecutore… Figuriamoci se poi il direttore d’orchestra non ha studiato percussioni…

In sostanza il Direttore ha un’idea che deve trasmettere all’orchestra. Oggi il tema della comunicazione anche tra colleghi è molto dibattuto. Quanto è importante essere dei bravi comunicatori oltre che degli ottimi musicisti?

Non è facile comunicare ai professori d'orchestra le proprie intenzioni musicali: occorre essere molto chiari ed essere esigenti quanto basta. Dipende poi dalla capacità del musicista o meglio degli esecutori il seguire le impronte dettate dal direttore d’orchestra. La comunicazione è importante. Io credo che il modo migliore di condurre un’orchestra sia seguire la propria visione dell’esecuzione. Entrare troppo prepotentemente in problemi tecnici, oltre che far innervosire gli strumentisti, fa si che si perda il fascino proprio del compito del direttore d’orchestra cioè quello di proiettare in maniera chiara e netta il percorso da seguire.

Ci sono orchestre più “difficili” di altre proprio sul tema della facilità di comunicare il proprio pensiero musicale?

In teoria potrebbe sembrare che le orchestre più importanti siano più difficili da condurre perché le stesse esigono un direttore di alto livello. Ma tante volte non è così. Orchestre con meno esperienza sono sicuramente più difficili da condurre ma solitamente c’è più spazio e tempo per rimettere in riga i vari gruppi orchestrali senza la preoccupazione di ripetere all’infinito alcuni passaggi. Specularmente le orchestre con maggior esperienza, come si suol dire, camminano da sole. L’abilità del direttore d’orchestra in quei casi e quella di intervenire al momento giusto, come un vigile che devia il traffico che si muove in maniera autonoma.

I pregiudizi sappiamo che si diffondono ovunque e per qualsiasi attività umana. Trovi che i musicisti italiani e in particolare i Direttori Italiani soffrano all'estero di qualche pregiudizio?

Non credo che i direttori italiani soffrano di pregiudizio all’estero proprio perché la musica è italiana. La musica è nata in Italia e noi siamo detentori di quell’antico primato, benemeriti o no, e dobbiamo portarlo avanti con orgoglio. Girando il mondo è bello sapere che puoi parlare di allegro, vivace, rallentando… In Cina, in Giappone, in Sudafrica.

Si dice che una seconda parte in una orchestra è difficile che possa vincere un concorso per una prima parte. E’ davvero così? E se volesse fare il direttore avrebbe vita difficile?

Credo sia indiscutibilmente più difficile per una seconda parte ricoprire il ruolo di prima parte, a meno che il passaggio avvenga in un breve periodo di tempo. Quando si ricopre un ruolo, solitamente quel ruolo ti viene impresso a fuoco già all’inizio della tua carriera.

Per quanto riguarda la direzione d’orchestra è un altro discorso. Quando da orchestrale passi ad essere direttore d’orchestra, avverti più accoglienza da parte della tua stessa orchestra. Io stesso sono ben accettato dai miei colleghi (orchestra del Teatro alla Scala) e lavoro molto bene con loro. Addirittura scherziamo quando ritorno al mio posto di fila tra i primi violini dopo aver diretto, il collega di leggio mi chiede spesso dove sono stato tutto quel periodo…

Infine, per non lasciare che il tema rimanga nell’aria, visto che è attualissimo, le donne vivono ancora pregiudizi nelle orchestre? Hanno più difficoltà ad affermarsi come Direttore d’orchestra?

Per quanto riguarda la donna orchestrale non esiste nessun pregiudizio a riguardo… Anzi! Abbiamo delle bravissime colleghe in orchestra che suonano magnificamente.

Per quanto riguarda la direzione di orchestra è ancora un punto di domanda.La figura preponderante dell’uomo sul podio è ancora attualissima e questo perchè si pensa che occorra una forza maschile per condurre un’orchestra. Ho conosciuto direttrici donne meravigliose che hanno saputo interpretare partiture delicate di musica francese come nessun uomo avrebbe potuto mai fare.

Ora che abbiamo toccato un po’ di punti legati alla professione posso chiederti: come si diventa Direttori d’orchestra?

Sinceramente non so come si diventi direttore d’orchestra… Penso sia una vocazione che parte dal profondo ma anche una necessità musicale. Io incito sempre i colleghi, che non hanno mai diretto, a provare a dirigere. Credo sia molto utile dirigere qualsiasi gruppo musicale per sviluppare la propria musicalità. Inoltre dirigendo, si risolve letteralmente il problema che infligge ogni strumento: la tecnica. Ti puoi permettere il lusso di arrivare ad approfondire quelle parti musicali che solitamente lasci sempre alla fine, dopo aver “risolto” o meglio affrontato il problema tecnico del tuo strumento.

Ecco forse la parte facile del direttore d’orchestra, o meglio quella che sembra più semplice: non è mai possibile stonare, non è mai possibile scroccare e non è mai possibile non andare insieme, visto che le braccia sono due.

Le difficoltà però sono altre: quelle soprattutto di prendere decisioni importanti sul tempo, la partenza di un brano, il mantenimento di un ritmo e della dinamica. Se un direttore studia bene con l’orchestra, tutti i suoi gesti durante un’esecuzione servono solamente a rammentare ciò che si è detto durante le prove.

Immaginiamo una produzione lirica, e immaginiamo che la sua preparazione si svolga con tutti i tempi necessari. Il Direttore d’orchestra deve coordinare i cantanti, l’orchestra, deve interfacciarsi con le scelte del regista, le esigenze scenografiche e, ultimamente sempre più spesso, anche con le esigenze televisive. Come si costruisce tutto ciò? Da dove si parte? Si incomincia a lavorare con i cantanti, oppure i cantanti prima lavorano con il regista? Come si lavora con l’orchestra per montare l’opera?

Realizzare un’opera è un lavoro parecchio complesso. Dopo lo studio accurato della partitura e della storia che lega il compositore alla sua creazione, il primo passo da fare è quello di trovarsi con i cantanti e capire insieme qual è la strada migliore e più semplice per arrivare a toccare il cuore del pubblico durante l’esecuzione.

Si stabiliscono canoni interpretativi e tecnici e poi si passa indubbiamente alla regia che propone scene posizioni movimenti e quant’altro.

In ultimo arriva l’orchestra. Quando un direttore si presenta davanti all’orchestra, dopo aver preparato i solisti il coro e aver studiato la regia, ha indubbiamente le idee chiare sullo svolgersi del lavoro. L’orchestra è sempre l’ultimo passaggio prima delle prove insieme, cioè quelle prove che servono a portare il lavoro alla sua naturale conclusione di preparazione.

Può capitare che Direttore d’orchestra e Regista abbiano idee differenti e per questo si creino delle incomprensioni? Chi dice l’ultima parola: il Direttore o il regista?

Credo capiti sempre. Le incomprensioni sono all’ordine del giorno. Indubbiamente la responsabilità del direttore d’orchestra, ossia il direttore musicale, è quella di imporre al regista il posizionamento, qualora non fosse consono all’acustica del teatro nel quale si svolge l’opera, dei cantanti. Ho assistito a decine di discussioni tra vari maestri e vari registri proprio per la disposizione dei cantanti e del coro sulla scena, proprio per essere visibili al direttore d’orchestra ed essere udibili al pubblico.

E’ più facile lavorare con artisti bravi e affermati, e perciò anche esigenti, oppure con artisti giovani?

L’artista affermato, sia esso un cantante o un direttore d’orchestra, ha sempre l’ultima parola. Il problema sorge quando ci sono più persone importanti che la pensano diversamente.

Ho antichi ricordi su varie diatribe tra Pavarotti e Muti…

Estendo la domanda: è più facile lavorare con orchestre stabili e famose o con orchestre di giovani? Perché tanti anziani direttori verso la fine della loro carriera, penso ad Abbado, Bernstein, ora Muti, ma anche a strumentisti come Piero Farulli, ad un certo punto preferiscono lavorare con i giovani?

Io credo che il direttore d’orchestra anziano, ricco di tante esperienze trascorse nella propria vita musicale, abbia il desiderio e senta come dovere artistico il trasmettere la propria conoscenza e la propria storia ai giovani. Ecco perché questi direttori e insegnanti di alto livello, alla fine della loro carriera, si impegnano a lasciare una eredità. E quale cosa migliore che lasciarla ai giovani?

Parliamo del mondo musicale visto dai professionisti. Come vanno le cose: esistono ancora le agenzie di artisti, i celebri manager, i Direttori artistici illuminati? Ogni tanto si ha la sensazione che il sistema sia regolato da meccanismi non del tutto chiari. Un giovane Direttore d’orchestra può contare su un “sistema” strutturato che consenta di fare carriera passo dopo passo?

Non conosco un meccanismo che permetta a un direttore d’orchestra di crescere; non ha un percorso simile a uno strumentista che ha l’obbligo ogni "tot" anni di affrontare una prova di passaggio… C’è solo un diploma dopo tre anni di studio. Il resto è costellato di concorsi di tutti i generi. Può essere sicuramente notato da agenti e da altri direttori d’orchestra ma deve avere anche molta fortuna, oppure molto capace in "public relations". Credo che la strada migliore sia quella di riuscire a seguire un direttore affermato e fargli da assistente. In questo modo si impara la tecnica, si fa esperienza e qualche volta si ha perfino la possibilità di dirigere al posto suo qualche prova.

Com’è il rapporto, se esiste, tra i Direttori d’orchestra?

È difficile pensare ad un rapporto d’amicizia tra due direttori d’orchestra vero e sincero.

È una cosa strana questa..in fondo tra due o tre musicisti può nascere un’intesa che dura tutta una vita poiché esiste una collaborazione indispensabile tra loro per la buona riuscita di una esecuzione.

Il direttore d’orchestra invece è da solo di fronte all’orchestra. Può conoscere i musicisti che la compongono perché collabora spesso con la stessa, oppure non conoscere nessuno perché incontra l’orchestra solamente in quella occasione.

La vita stessa di un direttore d’orchestra è alquanto strana e anomala. È una vita molto solitaria ma ricca di impegni. Penso che tante volte sia una vita anche molto triste. Sicuramente in carriera può essere ricca di soddisfazioni, gli applausi e le congratulazioni a fine spettacolo, ma tante volte dal punto di vista umano penso sia insufficiente per raggiungere una certa felicità.

È caratteristica dell’uomo mitizzare l’uomo e, quando tu stesso diventi un mito, non puoi più permetterti di scendere da quel podio che altri hanno messo sotto di te.

Non dimentichiamo la frase “Da un grande potere derivano grandi responsabilità” con tutto ciò che ne consegue.

 

A quest'ultima risposta di Alessandro fa eco una intervista rilasciata proprio oggi da Riccardo Muti, che Alessandro conosce molto bene e con il quale ha avuto un rapporto professionale molto lungo. Il titolo dell'intervista a Muti é "Riccardo Muti: "Mi sono stancato della vita", e in un certo senso coincide con la risposta di Alessandro. L'uomo sul podio ha una vita che solo a prima vista sembra privilegiata rispetto a quella di un orchestrale. Ma la responsabilità che si carica sulle spalle é importante e presuppone studio, esperienza, dedizione e anche sacrificio.

(a cura di Bruno Italiano)